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C’è un mondo di plastica in mezzo a noi: ci avvolge, ci racchiude. È una realtà dai contorni indefiniti, sfocati, strappati.
Secoli di progresso, vissuti nella convinzione del benessere ad ogni costo e nella visione grottesca dell’usa e getta, stanno mettendo a repentaglio la vita stessa su questo pianeta. La metamorfosi evolutiva si è arrestata: l’essere primitivo, adorno di pelli, archetipo di un universo tanto lontano dalle nostre abitudini, idealmente si ricongiunge a noi, come in un cerchio che si chiude.
Vestiti, non di pelli ma di plastica, con le fragilità e quel caparbio istinto di sopravvivenza, ci confrontiamo col nostro passato e scopriamo, con sgomento, di essere regrediti al punto d’inizio, come se millenni di sviluppo non ci avessero portato a nulla. Soli, con le nostre nudità e le nostre piccole convinzioni, come l’essere di un tempo remoto, costretto entro la propria dimora di fortuna, siamo aggrappati a ciò che più ci rassicura, al calore vitale di un ipotetico fuoco, ad una luce salvifica.
Da quella luce, metaforica o reale che sia, dobbiamo ripartire, per ricostruire una visione differente della vita: possibilmente liberi da fuorvianti modelli di sviluppo e dalla plastica.